Eduardo De Crescenzo nasce a Napoli, l’8 febbraio del 1951,
in un quartiere popolare a ridosso della “ferrovia “ di cui ci racconterà molto nelle sue canzoni. La sua è una famiglia ricca di temperamento artistico: il padre si dilettava a suonare il pianoforte; il nonno paterno era un impresario teatrale; lo zio, Vincenzo De Crescenzo, un poeta, autore tra l’altro della mitica canzone “Luna Rossa” che si fregiò delle interpretazioni di Elvis Presley, Frank Sinatra, Caetano Veloso … L’incontro con la musica arriva precocissimo: a tre anni riceve in dono la sua prima fisarmonica e subito la suona “a orecchio”; a cinque anni, enfant prodige, debutta al Teatro Argentina di Roma e inizia gli studi di musica classica con il maestro Giuseppe Bavota. Ha già un ammiratore importante, l’armatore Achille Lauro – all’epoca sindaco di Napoli – che lo sente suonare in una recita scolastica e, colpito dal suo talento, diverrà il suo primo mecenate, finanziandogli per alcuni anni gli studi di musica. Saranno studi privati perché, al tempo, la fisarmonica non era riconosciuta nei conservatori.
Arrivano i primi concorsi, le feste di piazza (i talent show di quei tempi), poi i complessi (così si chiamavano i gruppi musicali tra gli anni ‘60 e ‘70). Sono gli anni in cui soul, blues e jazz invadono i Nights: Eduardo mette temporaneamente da parte la fisarmonica – che non si confà al sound americano imperante – e suona il pianoforte o le tastiere nei vari gruppi cui si aggrega. Si limita a catturare la musica che gli gira intorno, non ha ancora compreso tutto il mondo musicale che è dentro di lui e nemmeno la potenza di “quella voce” che lo renderà famoso. Intanto prosegue la scuola. Dopo la ragioneria s’iscrive alla Facoltà di Legge, dà otto esami, ma è la musica che riempie i suoi pensieri …
Tutto cambia e diventa reale una sera del dicembre 1977:
un amico che crede nelle sue doti artistiche, lo accompagna a Roma agli studi “Quattro 1” del musicista e produttore Claudio Mattone. De Crescenzo canta una rielaborazione della Czardas di Vittorio Monti che tante volte ha suonato con la sua inseparabile fisarmonica. Mattone intuisce le capacità vocali di Eduardo, diviene il suo produttore, firma un contratto con la Dischi Ricordi; nel progetto entra anche Franco Migliacci. Il brano del provino ”La solitudine” sarà pubblicato dalla Dischi Ricordi in un numero limitato di copie, per lo più destinate agli “addetti ai lavori” ma il team comincia già a lavorare al suo primo fortunatissimo album. Al suo interno c’è Ancora, il brano prescelto per il debutto ufficiale sul palco del Festival di Sanremo nel 1981, dove la sua voce irrompe come un uragano! Una giuria prestigiosa, presieduta da Sergio Leone, assegna a quel giovane debuttante Il Premio della Critica come Migliore Interprete. “Ancora” è una di quelle rare canzoni che divengono subito un evento straordinario. In pochi giorni si trasforma in un successo internazionale e gli regala la fama. Con milioni di copie vendute è ancora oggi un evergreen amato e suonato in tutto il mondo. Molti grandi artisti proveranno a riproporla: Mina e Vanoni in Italia, Mireille Mathieu in Francia – con l’adattamento in francese del testo di Charles Aznavour – ma, come succede ai “capiscuola di razza”, l’impronta della sua interpretazione resterà indelebile.
La voce di Eduardo è così bella che cattura d’istinto qualunque tipo di ascoltatore,
è uno strumento naturalmente perfetto per colore, estensione e un’incredibile carica di armonici. E’ chiaro fin da subito che Eduardo “suona la voce”, fin da quella prima apparizione a San Remo del 1981 quando, verso il finale del brano, tralascia la melodia principale e si abbandona a un assolo strepitoso che diventa parte integrante di quella storica interpretazione. Gli appellativi si sprecano: “Lo Stevie Wonder italiano“! “ Stevie Wonder più Pasquariello” dirà Federico Vacalebre, critico musicale de Il Mattino, il quotidiano della sua città. Corteggiatissimo da tutti gli autori, dai musicisti; i suoi discografici diranno che “può cantare anche l’elenco telefonico” perché il brivido arriverebbe comunque. Il talento naturale di Eduardo, però, non è esaustivo del suo mondo sonoro. Il suono di “quella voce” è il frutto di un lavoro più complesso: studio, ispirazione, ricerca di stile; dietro quella voce c’è la regia del compositore, dello strumentista, della sua singolare sensibilità artistica. Lo descrive bene un suo esimio estimatore, Omar Calabrese, nel 1995 – in quel periodo docente di Semiotica delle Arti all’Università di Siena – in uno scritto titolato “La sapienza latina”.
De Crescenzo è certamente dotato di un’estensione e di una capacità melodica fuori dal comune, però è stato capace, nel corso di pochi anni, di raffinarla, fino a renderla emblema di mille ricordi musicali. C’è, ad esempio, il timbro acuto dei chansonniers italiani (e napoletani) della prima metà del secolo, tutti protesi a dare corpo al ruolo del tenore leggero. Oppure, c’è il gorgheggio virtuosistico del cantante gitano-andaluso di flamenco, un misto di potenza e di voluta afonia al tempo stesso. O ancora, rinveniamo il vibrato passionale del cantante di tango argentino, nella versione più colta dei tempi moderni ma si potrebbe proseguire con altre forme “etniche” africane, come, citando a caso, le “storie cantate” del congolese Mory Kante. Musica mediterranea e latina di vasta estensione, insomma, con un altro elemento basilare: i suoi caratteri si definiscono non soltanto nell’astratta composizione (ritmo, melodia, orchestrazione) ma soprattutto nell’esecuzione. Quando si ascolta De Crescenzo, la cosa “salta all’orecchio”: al di là del riconoscimento di vari generi, infatti, nelle sue canzoni si percepisce perfettamente l’esistenza di un margine di rischio e di inaspettatezza, come se lo spartito fosse solo un canovaccio dal quale possono uscire variazioni e improvvisazioni a piacere. Quasi istintivamente, così, accade che ci si lasci andare – nonostante un’indiscutibile sofisticazione di parole e musica – agli effetti sentimentali prodotti dall’autore. Emozioni come quelle della nostalgia, del rimpianto, dell’elegia, fluiscono dirette, poetiche, liriche da queste esecuzioni, anche qui nella più perfetta tradizione mediterranea. Eppure c’è da giurare che nulla delle canzoni di De Crescenzo è spontaneo. Il critico più accorto saprà riconoscere lo studio, la cultura, il virtuosismo di certi passaggi. Ma questo è il bello dell’arte da che il mondo è mondo! Un teorico del Cinquecento, Baldassarre Castiglione, definiva questa dote col nome di “sprezzatura” e, nel Seicento, un altro saggio di corte, Torquato Accetto, la denominava “dissimulazione onesta”. Volevano dire che il vero sapiente non fa mai nulla per caso, ma la sua capacità in questo può essere misurata, che il pubblico percepisce l’opera come naturale e immediata. E’ tutto qui, forse, anche il segreto di Eduardo De Crescenzo.
Nel 2012, Eduardo De Crescenzo presenta un nuovo progetto live, Essenze jazz.
“Cerco un suono che possa rappresentarmi oggi” – dirà – ma la meta che insegue è più complessa: Eduardo è un musicista, un fisarmonicista, un compositore con una voce straordinaria e, nel pieno della maturità espressiva, vuole coniugare “la forma canzone” con le sperimentazioni, le contaminazioni di genere, le vocazioni naturali che hanno determinato il suo stile originale e riconoscibile.
Costruisce, con Stefano Sabatini, pianista jazz – suo collaboratore storico fin dall’83 – il canovaccio di riferimento degli arrangiamenti, su cui si inseriranno alcuni jazzisti di spessore: Enzo Pietropaoli contrabbasso, Marcello Di Leonardo batteria, Daniele Scannapieco sassofono; al violoncello ci sarà Lamberto Curtoni, musicista classico. E’ “il format” di cui necessita la sua personalità musicale eclettica e virtuosa. Le canzoni del suo repertorio sono già intrise del suo canto ad alta concentrazione blues e non risultano particolarmente stravolte dalla nuova dimensione: resta tutta l’intensità delle sue interpretazioni poetiche di scuola classica, ma, i moduli jazzistici, si prestano meglio per “suonare” quella sua voce carica di armonici, per alimentare la composizione estemporanea che contraddistingue le sue esecuzioni.
In Essenze jazz c’è tutto il mondo sonoro di Eduardo De Crescenzo, quasi una biografia in note; più che un nuovo progetto è la sintesi matura della sua poliedrica espressività. In anteprima: il 24 aprile al Blue Note di Milano, il 4 maggio alla Casa del Jazz di Roma – fonti battesimali del jazz in Italia – l’11 giugno al Teatro San Carlo di Napoli – tempio dell’Opera – . Successivamente, nel 2013: il 21 marzo al Teatro Sistina a Roma; il 22 giugno al Ravello Festival, Villa Rufolo; il 7 luglio a Umbria Jazz, Teatro Morlacchi; … Nel 2013 il progetto approda in studio di registrazione ma “in presa diretta” per non perdere la magia delle esecuzioni live, anima del progetto. L’album Essenze jazz è stato pubblicato su etichetta EmArcy – Universal Classics & Jazz – A Division of Universal Music Italia. Nel 2015 Essenze jazz si apre a nuovi incontri, diventa EVENT e ospita in concerto l’arpista colombiano Edmar Castaneda, musicista virtuoso e geniale; la magica tromba di Enrico Rava che dice di lui: “Il mondo di Eduardo è come un giardino incantato, dove i fiori del blues si fondono con gli umori di Napoli dando vita a un canto poetico emozionante e irresistibile”. Nel novembre 2016 Sky Arte dedica a Essenze jazz uno speciale di un’ora con i momenti salienti del concerto e un’intervista a Eduardo che racconta la sua vita da musicista.
Nel tour Teatrale 2018 – 2019 ospita in concerto Maria Pia De Vito, voce colta e raffinata del jazz italiano.
Il 12 giugno 2021 presenta in anteprima al Campania Teatro Festival il progetto AVVENNE A NAPOLI passione per voce e piano. Un concerto nel quale Eduardo interpreta la Canzone Classica Napoletana del periodo largamente indicato tra il 1800 e il 1950. Accompagna questo viaggio magico il pianoforte talentuoso, internazionale, di Julian Oliver Mazzariello. Un concerto che vuole restituirci lo spirito autentico di quel tempo in tutta la sua insuperata modernità.